Studio Del Bene - Chiropratica e cura della persona

Il morbo di Parkinson

Morbo di Parkinson

Disarmonia cerebrale

Immaginiamo il nostro cervello come un direttore d’orchestra che è lì per ottenere una sinfonia. I lobi parietali, temporali, occipitali e frontali in questa sorta di concerto cerebrale creano le nostre emozioni, i movimenti ed i riflessi del corpo, il battito, il respiro e la digestione. Invece che dagli strumenti musicali, i nostri processi vitali sono orchestrati da elettricità nella forma di sinapsi nervose tra un neurone e l’altro ed un emisfero e l’altro. Potremmo quindi definirli come una batteria di impulsi nervosi che vanno avanti ed indietro lungo il percorso dei nervi che collegano il cervello ai nostri muscoli ed organi e viceversa.
Che succede al corpo quando gli impulsi sono troppo lenti o troppo veloci?

Prendiamo in considerazione ad esempio il braccio destro. Se vogliamo prendere un bicchiere di acqua con la mano destra, il lobo frontale nell’’emisfero sinistro inizia a “sparare” impulsi nervosi verso il centro del cervello dove si trova la ganglia basale. Questa piccolissima struttura è vitale per la regolazione della velocità del movimento del corpo. Se questa ganglia basale “spara” troppi impulsi nervosi, succede che, quando noi andiamo a prendere il bicchiere, la mano usa tanta forza da romperlo. Al contrario nel caso di pochi impulsi, come nel Morbo di Parkinson, il movimento è difficoltoso e lento. “ Movimenti semplici” come quello di prendere un bicchiere d’acqua è in effetti il risultato di un complesso processo neurologico. Prima di prendere il bicchiere, il cervello ne considera sia la forma che il suo peso, quindi fa una preparazione motoria specifica per prendere quel tale oggetto. La mano afferra l’oggetto e subito gli impulsi nervosi delle dita e della mano ritornano al cervello per comunicargli la quantità di forza necessaria a prendere il bicchiere senza romperlo. Il cervello a sua volta permette alla mano di applicare la giusta forza. Tutto ciò vuol dire che cervello e mano stanno sempre in comunicazione come in una specie di feedback. In un tale processo se una parte del circuito neurologico è compromesso o inizia a compromettersi, è ovvio che iniziano anche problemi di deficit motorio. Nel caso del Parkinson la parte debole ed in pericolo è appunto la ganglia basale dove il corpo produce Dopamina. La dopamina ha in poche parole, nell’esempio fatto, la funzione di togliere il freno alla mano e di far si che prenda il bicchiere.

La dopamina è un neurotrasmettitore, cioè una sostanza che veicola le informazioni tra cellule, i cosiddetti neuroni, del sistema nervoso. E’ prodotta, infatti, in diverse aeree del cervello dai neuroni dopaminergici ed ha molteplici funzioni. E’ necessaria non solo per il controllo dei movimenti, ma altresì influenza l’abilità cognitiva ed emotiva.
 

Malattia neurodegenerativa tra quelle definite come “Disordini di Movimento”, il “Morbo di Parkinson” può interessare ambo i sessi anche se prevale in quello maschile. Secondo l’ONU, al mondo ci sono circa 4 milioni di persone affette da questa patologia. Con l’aumento della speranza di vita e l’invecchiamento della popolazione, si ritiene che tale cifra raddoppierà entro il 2040. Il suo decorso è lento ma progressivo ed interessa alcune funzioni quali quelle del controllo dei movimenti e dell’equilibrio. Vengono coinvolte cioè, strutture cerebrali che sono interessate alla corretta esecuzione dei movimenti. Alla degenerazione dei neuroni e quindi alla conseguente perdita cellulare, consegue una riduzione della dopamina. Quando questa produzione cala sensibilmente compaiono i primi sintomi, così come si ha la sua diffusione nell’intera area cerebrale, quando compaiono i primi accumuli dell’alfa-sinucleina (proteina) e le sue variazioni strutturali nel tratto che intercorre tra midollo e cervello. Le cause di questa patologia sono ancora quasi del tutto sconosciute anche se si ipotizzano molti fattori che ne favoriscono lo sviluppo. Primi fra tutti la predisposizione genetica e cioè la presenza positiva della malattia nella storia familiare, altra causa può essere una mutazione genetica; concorrono poi, fattori legati all’esposizione di sostanze tossiche ad esempio nell’ambito lavorativo, come l’uso di alcuni pesticidi o di idro-carburi solventi, oppure una lunga esposizione ai metalli pesanti come il ferro, lo zinco ed il rame.

 

 

I Sintomi ed il loro controllo

Tra i suoi sintomi più evidenti: il tremore a riposo, la rigidità, la difficoltà a deambulare, la bradicinesia ed acinesia, problemi di equilibrio, una postura in flessione. Negli stati più avanzati troviamo anche difficoltà di linguaggio e deglutizione. Tuttavia i sintomi sono anche non motori, si va dalla comune stipsi ai disturbi urinari, a quelli della pressione sanguigna ed inoltre, si riscontrano disfunzioni sessuali, disturbi del sonno e dell’olfatto.

A livello dei disturbi dell’umore c’è senz’altro la depressione, stati d’ansia o di apatia, disturbi del comportamento ossessivi compulsivi ed un senso continuo di frustrazione che investe il paziente anche nelle personali espressioni mimiche e caratteriali, una difficoltà cognitiva progressiva che rende scarsamente qualitativa la vita quotidiana. Per quanto riguarda il sintomo più manifesto, cioè il tremore, esso a differenza che in altre patologie, si manifesta in condizioni di riposo quindi quando il paziente non compie alcun movimento.

Il rallentamento dei movimenti , detto bradicinesia, risulta invece, più del tremore, essere particolarmente invalidante, questo perché il paziente necessita di più tempo per azioni abitudinarie come il vestirsi, lavarsi, camminare, cambiare posizione nel letto, ecc. sino ad arrivare ad avere bisogno di assistenza. Si ha un mutamento dei movimenti fini e di conseguenza una variazione della grafia che diventa più distorta e piccola (micrografia), una difficoltà mimica del volto (ipomimia) o un eccesso di salivazione (scialorrea). In realtà, riguardo a questo ultimo sintomo, volendo essere più precisi, più che di un aumento della saliva, dobbiamo parlare di una difficoltà maggiore e crescente di deglutizione. Questo particolare problema aumenta il disagio che il paziente sente nelle relazioni con altri ed in pubblico.

Altra difficoltà è l’iniziare i movimenti spontanei e qui parliamo di acinesia oppure in stato più avanzato riuscire a correggere la postura in flessione del tronco, o, diciamolo pure comunemente, a “raddrizzarsi”.

Anche questa difficoltà che coinvolge il cosiddetto “asse del corpo” e che provoca disturbi di equilibrio, diventa per il paziente sintomo di forte disagio quando deve attraversare un ambiente pieno di persone o di pericolo per la possibilità di cadute.

I passi diventano trascinanti e più corti con evidente tendenza a velocizzarli (cosiddetta festinazione). E’ ovvio che per le persone che soffrono di festinazione e di acinesia è altresì difficile fermare all’improvviso questa marcia veloce con conseguente rischio di cadute.

Per quanto riguarda la cura di questa patologia, non essendoci una causa certa e non potendo disporre di un farmaco che non la faccia progredire, si ci propone almeno di controllare i sintomi, quindi parleremo di farmaci sintomatici e non curativi.
Sui sintomi si interviene farmacologicamente e con riabilitazione motoria, cognitiva e quindi neurologica.

Esistono due tipologie di farmaci: una che produce una sostanza che poi si traduce in dopamina, altri che inibiscono la capacità di riassorbire la dopamina quindi di mantenerne costante il livello di concentrazione.

Tra quelli della prima tipologia c’è la nota Levodopa che viene a sopperire chimicamente al calo di dopamina. Essa però porta nell’arco della giornata come conseguenza, momenti di off-on, cioè momenti di blocchi motori e momenti di discreta abilità.

L’altro inconveniente è l’aumento progressivo della dose che ha come conseguenza l’insorgenza di movimenti involontari “discinesie” o effetti collaterali come aumento di tremore, ansia, allucinazioni (volendo definire lo stato di queste allucinazioni potremmo dire, per chi conosce la favola, che il paziente “è” in quei momenti come Alice nel Paese delle meraviglie).

La ricerca, tra gli altri trattamenti, ha sperimentato anche due tipi di interventi chirurgici tuttavia rischiosi e molto costosi, in cui vengono posizionati degli elettrodi che stimolano, nei momenti di caduta della dopamina, le zone del cervello predisposte alla sua produzione.

Il primo è detto “deep brain stimulation” (stimolazione cerebrale profonda) e tende a limitare i sintomi. L’altro tipo di intervento neurochirurgico, meno invasivo, è la “stimolazione corticale motoria” in cui l’elettrodo viene inserito più in superficie senza penetrare nella membrana che protegge il cervello.

Altra strada su cui la ricerca si sta muovendo è la terapia genetica ( una sorte di riprogrammazione delle cellule malate) ed il trapianto di cellule staminali che dovrebbero inserirsi e differenziarsi nell’area cerebrale comportandosi come cellule cerebrali sane e non degenerare ad esempio in cellule tumorali.

Tutti questi trattamenti, come abbiamo accennato, hanno come fine quello di stimolare il cervello a produrre più dopamina ed a stimolare funzioni cerebrali. E’ altresì vero che l’80 % degli stimoli che arrivano al cervello provengono dal movimento delle vertebre e dei muscoli e l’altro 20% dalle percezioni sensoriali. E’ per questo che la Chiropratica e la Neurologia Funzionale ritengono essenziale, per il funzionamento di tutti i muscoli ed organi, una “ fluida comunicazione fra midollo spinale –cervello – nervi periferici”.

 

 

Il caso “Marzia”

Per rendere più chiaro il processo di cui stavamo parlando, prendiamo in considerazione la situazione clinica della signora Marzia (useremo questo nome per tutelare la sua privacy). 60 anni adesso, Marzia è venuta circa due anni fa nel mio Studio di Neurologia Chiropratica per una Lombosciatalgia.

L’anamnesi ha evidenziato che era diabetica, ipertesa e soprattutto sofferente da circa otto anni di Morbo di Parkinson, i cui sintomi erano controllati farmacologicamente.

Parlando con la signora e dall’espressione del suo volto (triste e piatta), è stato subito evidente il disagio e la sua difficoltà nel compiere azioni quotidiane come ritirare la posta, lavare i piatti, lavorare l’orto, camminare da sola per pochi metri o restare in piedi oltre pochissimi minuti senza avere il bisogno fisico di sedersi. Lei ha espresso così la lentezza dei suoi movimenti : “ E’ da anni che devo sforzarmi perché la mano afferri la forchetta e non resti incollata alla tavola o concentrarmi per sgranare i piselli”. Queste sue condizioni erano con il tempo peggiorate, era aumentata la rigidità alla gamba destra, tremore a riposo della mano destra, con una evidente posizione in flessione del tronco.

Questi problemi posturali e la difficoltà a deambulare hanno provocato diverse sublussazioni (blocchi) vertebrali con conseguente lombosciatalgia. Un esame neurologico più approfondito ha evidenziato una debolezza dell’ emisfero sinistro del cervello che si manifestava anche in una certa difficoltà di linguaggio. Lei ha spiegato: “ fin da quando ero ragazza ho avuto, a volte, difficoltà a trovare la parola giusta o usavo una parola che non rientrava nel contesto e quando leggevo alcune lettere si invertivano.” Allora ho spiegato a Marzia che gran parte dei suoi disturbi erano legati alla debolezza dell’emisfero sinistro che oltre a controllare i movimenti degli arti speculari( nel suo caso la difficoltà motoria e la spasticità nel lato destro del corpo) controlla anche il linguaggio, la lettura, ecc.

Con il suo assenso ho deciso di creare un piano terapeutico mirato, che lei potesse seguire a casa, un piano che lavorasse di pari passo ai miei aggiustamenti chiropratici e di riabilitazione funzionale effettuati allo studio. Le ho riferito di alcuni interventi chirurgici , dai rischi e costi elevati, in cui veniva posizionato un elettrodo dentro il cervello per stimolare la ganglia basale a produrre più dopamina. Ho spiegato che potevamo fare la stessa cosa lavorando, in modo meno invasivo, a stimolare maggiormente l’emisfero sinistro deficitario e contemporaneamente stimolare ad un migliore funzionamento anche quei sentieri neurologici che erano ancora sani. Con tecniche mirate infatti, si può esercitare il cervello a riprendersi alcune funzionalità così come si fa con un muscolo debole.

Quindi da una parte, aggiustamenti chiropratici per sbloccarle la colonna vertebrale, rendere più mobili schiena- tratto cervicale ed articolazioni e liberare da ostacoli il percorso ( tratto del midollo spinale) in cui transitano informazioni e stimoli, e dall’altra parte tecniche neurologiche mirate affinché, in quel percorso, possano viaggiare “ giuste” e “corrette” informazioni che trovano nel cervello un interlocutore pronto ad usarle. Devo dire che Marzia è stata una collaboratrice perfetta, tenace e determinata.

Dopo due mesi di terapie e di Metronomo interattivo la dose dei farmaci è stata ridotta con diminuzione degli effetti collaterali, lei non aveva più nessun dolore alla schiena, era ormai in grado di fare in piedi esercizi per molto tempo. Oggi, la flessione del suo corpo è quasi inesistente, ha equilibrio, ha ripreso in casa ed in famiglia il suo ruolo e, cosa bellissima, il volto ha ritrovato tutte le sue espressioni.

Certo è ancora una paziente affetta da Morbo di Parkinson, ma è anche una persona che ha ritrovato una sua funzionalità. La storia di Marzia, che non è finita perché lei continua con tenacia a riprendersi le sue capacità, ci dice come una giusta riabilitazione neurologica funzionale può intervenire, anche nel caso di Morbo di Parkinson, su alcuni sintomi come la difficoltà a raddrizzarsi, il calo di concentrazione, la difficoltà di pianificazione, la difficoltà del linguaggio e della scrittura e contrastare persino l’accelerazione della inabilità motoria.

Esercizi come le tecniche di stimolazione vestibolare, optocinetiche, esercizi cognitivi e l’Interactive Metronome (nuovo metodo riabilitativo che lavora proprio sulle debolezze degli emisferi e sul deficit cognitivo e motorio) sono utili, così come gli aggiustamenti chiropratici ed una diagnosi precoce, a neutralizzare per lungo tempo i danni neurologici funzionali, possono migliorare le condizioni del paziente quando queste sono già compromesse e di conseguenza dare un contributo affinché il paziente ritrovi un giusto equilibrio seppur debba continuare a convivere con questa patologia.

Dott.ssa Cristine Del Bene, D.C., D.A.C.N.B.

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